Dall’emergenza al cambiamento sistemico: una risposta consapevole al sisma in Myanmar
Nelle settimane successive al violento terremoto in Myanmar, è tornata una narrativa ben nota a chi lavora nella cooperazione internazionale, cioè quella che vede gli interventi d’emergenza come risposte episodiche, costose ed emotive. Una deviazione, insomma, che distrae dalla rotta principale: quella del cambiamento sistemico. Ma se capovolgessimo questa narrazione? Se invece considerassimo che talvolta è proprio l’emergenza a permettere al sistema di mostrarsi e di trasformarsi?
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Sfidare la narrativa sull’emergenza
Spesso si ritiene che gli interventi in risposta alle emergenze costituiscano spese episodiche, inefficaci, costose e difficilmente misurabili. Si trova quindi preferibile concentrarsi su sforzi strutturali e di lungo periodo. Si tende a dare priorità a interventi la cui efficacia sia quantificabile, in termini per esempio di vite salvate o anni di vita migliorati per dollaro speso. In base a questi criteri, gli aiuti d’emergenza tendono a essere considerati meno misurabili ed efficaci rispetto a programmi strutturati, come quelli sanitari o educativi.
Quella descritta è una visione legittima, che poggia su solide basi economico-quantitative. Ma rischia di trascurare ciò che l’emergenza può rivelare: le crepe profonde di un sistema. Un terremoto non è solo un evento isolato – soprattutto in contesti socio-politicamente instabili – ma un amplificatore di disuguaglianze, un evidenziatore di carenze infrastrutturali, un rivelatore di fragilità latenti. E può diventare, se lo si osserva con occhi strategici, una finestra di opportunità per innescare cambiamenti sistemici.
La teoria delle policy windows di John Kingdon spiega bene questo meccanismo: è necessario un problema percepibile, una soluzione pronta e un contesto politico recettivo affinché si apra una finestra per interventi profondi. Spesso, dopo grandi disastri, le politiche di gestione delle emergenze subiscono trasformazioni strutturali proprio grazie a queste finestre di opportunità. La risposta alla crisi può diventare motore di trasformazione profonda, se pensata non come un’azione isolata, ma come parte integrante di un disegno più ampio: in quest’ottica, l’emergenza non è una parentesi da chiudere, ma uno snodo critico.
Tale visione è confermata dalla letteratura sullo shock del COVID-19. Nel 2021, uno studio pubblicato sul Journal of Social Policy ha osservato che lo shock pandemico ha aperto finestre per discutere politiche sanitarie inclusive e migliorie alle condizioni di vita, mostrando come l’emergenza possa spingere verso una nuova normalità più equa. Allo stesso modo, dopo la crisi ebola nella Guinea post‑2014, un’analisi su Global Health Systems ha dimostrato che si aprì un’opportunità per rafforzare i sistemi sanitari, purché ci fossero attivisti e “policy entrepreneurs” capaci di tenere aperta quella finestra.
Questi esempi mostrano una costante: non è l’evento in sé, ma ciò che si fa nel momento critico che conta. Serve quindi che, nel frangente dell’emergenza, l’azione sia radicata nella conoscenza del contesto, costruisca fiducia, si proietti nel futuro. Le crisi non sono eccezioni e lo sviluppo non è normalità; la resilienza comincia dalla crisi.
Passando dal concetto alla prassi, cosa significa agire in emergenza con spirito sistemico? Significa mettere al centro le comunità, coinvolgendole nei processi decisionali sin dall’inizio; significa integrare la risposta immediata con obiettivi di medio-lungo termine; significa scegliere metriche capaci di misurare non solo quanti aiuti sono stati distribuiti, ma anche quanto hanno rafforzato la capacità di adattamento delle comunità stesse.
Il potere del triple nexus
Per cogliere il senso profondo di questa connessione tra emergenza e sistema, occorre introdurre il concetto di triple nexus: l’intersezione tra azione umanitaria, sviluppo e pace. Questa teoria basata sul triple nexus spinge a non lavorare per fasi separate – prima salvare vite, poi ricostruire, poi costruire la pace – ma ad agire con visione simultanea, concentrandosi su risultati collettivi e agende integrate.
Il Development Assistance Committee dell’OCSE dà questa definizione:
“il triple nexus si riferisce alle interconnessioni tra azioni umanitarie, di sviluppo e di pace. […] Mira a rafforzare collaborazione, coerenza e complementarità […] per ridurre le vulnerabilità, rafforzare la gestione del rischio e affrontare le cause profonde del conflitto”.
Questa coalizione di intenti rappresenta una svolta profonda: l’emergenza non è semplicemente il primo passo, ma un tassello che rafforza gli altri. Dal punto di vista operativo, richiede un coordinamento robusto (anche con attori locali), finanziamenti flessibili e pluriennali, un’analisi del conflitto aggiornata e un lavoro sinergico che tenga insieme l’immediato, il medio e il lungo termine. Ma richiede anche un difficile equilibrio: mantenere la neutralità umanitaria, non politicizzare l’aiuto, e preservare la coerenza dei tempi e delle modalità operative.
Ricostruire le case dopo un terremoto non è un fine, ma un passo verso la costruzione di infrastrutture più resilienti. Fornire acqua potabile oggi significa rafforzare sistemi idrici comunitari capaci di reggere anche a future crisi. Ogni intervento può diventare ponte tra il presente travagliato e un futuro più sostenibile.
Una crisi che chiede visione

Il 28 marzo 2025, un terremoto ha colpito il Myanmar, causando migliaia di vittime, feriti e nuovi sfollati, oltre a danni devastanti a tutte le infrastrutture vitali del Paese. Il peggio è che la violenza del sisma si è abbattuta su un contesto già fortemente segnato da instabilità politica, disuguaglianze sociali e povertà diffusa. Il popolo birmano è in gravissima difficoltà.
In risposta a questa emergenza, ASIA Onlus, che opera nel Paese da 10 anni e conosce bene il contesto, ha avviato un intervento articolato che comprende:
- la messa in sicurezza ricostruzione di 28 scuole;
- la costruzione di nuovi impianti idrici e pozzi per garantire un accesso all’acqua sicuro;
- la distribuzione di sementi, strumenti agricoli e formazione per promuovere l’autosufficienza agricola;
- il supporto diretto alle famiglie colpite e alle comunità locali.
Unione Buddhista Italiana e Wisedāna Foundation hanno attivato una campagna di raccolta fondi per sostenere questa azione, non come un gesto isolato, ma come parte di una visione più ampia: trasformare l’urgenza in un’occasione di resilienza.
Il nostro metodo: coerenza in ogni contesto
Intervenire in un contesto di emergenza non significa derogare al nostro approccio, ma applicarlo con ancora maggiore consapevolezza. In Wisedāna Foundation, lavoriamo per generare impatto sistemico: un impatto che non si limita a rispondere a un bisogno immediato, ma che contribuisce a modificare le condizioni che generano vulnerabilità.
Anche quando la richiesta di intervento nasce da una crisi imprevista, manteniamo saldi i principi che guidano la nostra azione:
- fiducia negli attori locali, che conoscono il contesto e sanno cosa serve davvero;
- visione integrata, che tiene insieme presente e futuro, emergenza e ricostruzione;
- alleanze strategiche, che ci permettono di agire efficacemente anche dove non siamo direttamente presenti.
Agire al fianco di ASIA Onlus in Myanmar fa parte del nostro impegno: sosteniamo chi lavora già sul territorio con competenza, responsabilità e una prospettiva di lungo periodo. L’intervento in Myanmar quindi, pur nella sua urgenza, ci permette di restare fedeli alla nostra visione. Perché la filantropia consapevole sa stare dentro la complessità senza perdersi, e sa scegliere con cura le azioni che aprono il futuro.
Un invito alla responsabilità condivisa

Non possiamo prevedere quando colpirà la prossima crisi. Ma possiamo scegliere, ogni volta, come rispondere. Possiamo decidere se limitarci a tamponare le emergenze o se provare a trasformare, a partire da esse, i sistemi che le rendono così profonde.
Con questa campagna, Wisedāna Foundation e UBI invitano a un gesto concreto di generosità saggia: sostenere l’intervento di ASIA Onlus in Myanmar significa non solo offrire un aiuto immediato, ma anche contribuire a un percorso di ricostruzione consapevole, pensato per le comunità locali e orientato al futuro.
È nei momenti di maggiore fragilità che possiamo generare il cambiamento più autentico.
DONA ORA
Testo di Beatrice Marzi e Marta Turchetta
Revisione editoriale di Marta Turchetta